Tesoro inestimabile di Ercolano
Aperti al pubblico gli scavi della Villa dei Papiri di Ercolano. Dopo duemila anni restituita agli occhi stupiti dei visitatori la villa che Lucio Calpurnio Pisone Cesonino, suocero di Giulio Cesare, si era fatta costruire a poca distanza dal mare.
Si potrà visitare, dal 1 marzo il piano inferiore con ambiente affrescato, il piano superiore con atrio e mosaico, la Natatio con Ninfeo e le altre strutture appartenenti alle insulae nord occidentali dove è visibile anche lo scheletro di un cavallo. Le stanze presentano un pavimento a mosaico differente per disegno con tessere. Nel peristilio 25 colonne sui lati maggiori e dieci su quelli minori, al centro la piscina lunga 66 metri.
"Carlo di Inghilterra che ha visitato la villa - ha detto Bassolino all'inaugurazione - mi ha scritto e si è detto pronto a dare una mano. Su Ercolano c'è anche l'interesse di importanti fondazioni americane".
I primi ritrovamenti risalgono alla metà del settecento, quando dagli scavi archeologici di Ercolano vennero alla luce i primi rotoli di papiri carbonizzati dalla lava vulcanica che aveva seppellito il paesino alle falde del vesuvio nel 79 d.C. A prima vista quei piccoli cilindri furono ritenuti tizzoni spenti, pezzi di legno che l'alta temperatura della lava aveva bruciati e anneriti. Dopo ci si rese conto di trovarsi alla presenza dei resti di una grande biblioteca, si tentò di srotolarli questi papiri con risultati disastrosi. Arrivò l'abate Piaggio che fece una specie di telaio e il papiro cominciò a rivelare il suo segreto. Testi filosofici epicurei, Filodemo. Oggi questi tesori sono custoditi nell'Officina dei papiri ercolanesi della Biblioteca Nazionale di Napoli.
Che Omero, i tragici, i lirici, le opere degli storici fossero stati letti nel mondo greco e in quello latino reggendo tra le mani i rotoli dispiegati di papiro lo sapevano anche quelli che non avevano avuto modo di vedere le raffigurazioni giunte fino a noi, che rappresentavano, appunto, uomini togati recanti tra le mani le due estremità del rotolo di papiro avvolte su due piccoli cilindri.
Il tesoro si trova a oltre 27 metri di profondità e gli scavi non sono terminati. I lavori dell'intero Sito saranno completati a cura della Regione. La prima scoperta avvenne nell'ottobre del 1752. Ercolano fu travolto da una inarrestabile valanga di fango. Poi un'altra tremenda valanga di lava nel 1631 e la villa dei papiri era sprofondata più in basso. Durante gli scavi apparvero subito vasi, pitture,statue. Teatri, palestre, case e ville. Un budello sbucò in una villa più ricca delle altre: bronzi, marmi, mosaici. Un ben di Dio. Ci riempirono un museo. E poi, pezzi di qualcosa che sembrava carbone, ma erano papiri.
Nel 1754, altri papiri vennero alla luce attraverso le gallerie che gli scavatori borbonici praticavano nel ventre della terra per recuperare principalmente, affreschi e mosaici.
Gli oltre 1800 papiri rinvenuti ad Ercolano sono di autori epicurei per la massima parte - precisò il prof. Marcello Gigante in una intervista al Mattino - ma interessano tutta la civiltà antica e in particolare le filosofie ellenistiche (scuola di Platone, scuola di Aristotele, gli stoici, gli scettici) e in generale tutto il pensiero greco, a cominciare dai presocratici. I trattati sulla musica, sulla retorica, sulla poetica non espongono solo il punto di vista epicureo, ma contribuiscono in modo decisivo alla conoscenza delle teorie antiche con cui Filodemo (l'epicureo che costitui a Ercolano questa vasta biblioteca) polemizza. C'è da dire anche che la "La storia dei filosofi" di Filodemo non è opera polemica ma di storiografia filosofica, ed è alla base di quella di Diogene Laerzio. Inoltre, a rendere importanti questi papiri anche per la filologia classica basterebbero le citazioni da Omero, Alceo, Sofocle, Euripide e cosi via. Si noti poi che dopo la "Retorica" e la "Poetica" di Aristotele sono giunte fino a noi solo la "Retorica" e la "Poetica" di Filodemo.
In uno di questi documenti si sono potuti leggere i nomi di Virgilio, Plozio, Vario e Quintillio. Uno studioso norvegese Knut Kleve ha potuto ricostruire alcuni versi del VI libro degli "Annali" di Ennio, che furono la fonte precipua dell' "Eneide".